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"Giacinto Cerone. Una nota che non c'è" è un progetto ideato da Montrasio Arte in collaborazione con l'Archivio Giacinto Cerone. Il volume indaga la produzione ceramica dell'artista prendendo in esame un decennio di lavoro. Le trenta sculture selezionate portano i segni di un'inquietudine profonda. Egli aggredisce la materia, con gesti rapidi e incisivi. Tagli, torsioni, lacerazioni diventano la sintesi formale della prorompente composizione plastica dello scultore. Seppure Cerone abbia utilizzato in modo profondo e appassionato svariati materiali, la ceramica e il gesso forse trasmettono in modo più diretto e letterale l'impronta della sua fisicità e gestualità. Sottoponeva i blocchi geometrici vuoti di terra cruda, che gli venivano preparati dal 1993 alla sua morte presso la Bottega Gatti di Faenza, a torsioni, rotture, squarci, fino a batterli con un tubo se il suo corpo non riusciva a farli esplodere di rabbia e disperazione, estasi e vita. Il modo di lavorare l'argilla avveniva attraverso rimozioni e ritorni, sepolture ed emersioni in cui eventi dell'oggi risvegliano e risignificano fatti di ieri. Nel suo caso possiamo parlare del trauma della scultura, proiettando e trasformando nei processi stessi creativi qualsiasi originaria contesa con la materia o qualsivoglia attività esistenziale.